Farnace, Venezia, Rossetti, 1739

Assente nell'edizione Zatta Frontespizio
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Riviera dell’Eusino con folta selva che ingombra tutta la scena.
 
 FARNACE con spada nuda in mano, poi TAMIRI
 
 FARNACE
 Benché vinto e sconfitto
 perfide stelle, io son Farnace ancora.
 Di Mitridate il figlio
 ha in pugno ancor di Mitridate il brando,
5ha in seno ancor di Mitridate il core.
 Per lacerar i lauri in su la chioma
 alla superba Roma
 risorgerò, nemico ognor più crudo,
 cenere anche insepolto e spirto ignudo.
 TAMIRI
10Mio consorte, mio re, deh per le sacre
 venerabili fiamme
 d’amor e d’imeneo, per quella fede
 che annodò le nostre alme, arresta il piede.
 FARNACE
 Non ami ben, se l’onor mio non ami.
 TAMIRI
15Amo, sì, l’onor tuo ma mi spaventa
 l’orror dell’imminente alto periglio.
 FARNACE
 Dov’è più di periglio è più di gloria.
 TAMIRI
 Vanne dunque, o crudel, e qui mi lascia
 tra le fiere agonie de’ miei timori.
20Lascia in balia del vincitor superbo
 la sposa desolata
 e l’infelice, oh dio! tenero figlio,
 perché vadano entrambi
 tra le schiave più vili a torcer lane
25ed a baciar le clamidi romane.
 FARNACE
 (Questo solo pensiero
 urta la mia costanza;
 ma lo domi virtù robusta e forte).
 Sposa, Tamiri, ascolta.
 TAMIRI
                                            Il cenno attendo.
 FARNACE
30Quest’acciaro fatal prendi, o regina;
 e sovra d’esso giura
 d’esequir quella legge
 che uscirà dal mio labbro.
 TAMIRI
                                                  Eccomi pronta.
 FARNACE
 La tiranna del mondo,
35puote ancora esser vinta;
 ma se l’empia fortuna
 idolatra di lei per lei pugnando
 farà che sul mio capo
 l’aquile abominate alzino il volo,
40tutto nel cor del figlio, indi nel tuo
 tu questo ferro immergi.
 Dall’indegno servaggio esso vi sciolga
 e l’ingiurie del ferro il ferro tolga.
 TAMIRI
 Due gran prove mi chiedi,
45signor, del mio coraggio.
 L’una è degna di me perché son moglie,
 l’altra è indegna di me perché son madre.
 FARNACE
 Anch’io son padre e tel comando. A noi
 questo nome non toglie
50l’alta necessità d’oprar da grandi.
 Torna tosto in città. Tamiri, addio.
 Con quest’amplesso impegno
 l’ubbidienza tua, servi alla legge
 che giurasti al mio amor e alla mia gloria
55e pensa che consorte
 di Farnace non sei se non sei forte.
 
    Ricordati che sei
 regina, madre e sposa,
 che dell’onor gelosa
60ti vuol la maestà.
 
    Pria che soffrir la pena
 d’una servil catena,
 sì, sì questa tu dei
 pietosa crudeltà.
 
 SCENA II
 
 TAMIRI sola
 
 TAMIRI
65Ch’io mi tolga col ferro
 all’onta del trionfo
 è giustizia, è dover e sì grand’atto
 stabilito era già ne’ miei pensieri.
 Ma che col ferro stesso
70io sveni il caro figlio, il figlio amato
 è fierezza crudel d’ingiusto fato.
 
    Combattono quest’alma
 la gloria, la pietà,
 l’amor, la fedeltà,
75lo sposo, il figlio.
 
    Lo sposo tradirò?
 Il figlio ucciderò?
 Ah che l’ingiusta palma
 non so di chi sarà,
80cieli consiglio.
 
 SCENA III
 
 Sinfonia nel mentre escono guastadori che troncando in breve la selva la riducono ad un’aperta campagna, vedendosi in fondo il mare e in esso l’armata navale di Berenice e da una parte la città d’Eraclea con ponte che introduce nella medesima.
 
 Approdano le navi e gettati i ponti sbarca sul lido l’esercito e dopo sbarcano da ricco naviglio BERENICE con numeroso reale accompagnamento
 
 BERENICE
 Del nemico Farnace
 questo è l’impero e quella
 che là si vede torreggiar vicina
 è la città de’ regni suoi regina,
85ei se non mente della fama il grido
 già ne’ vicini campi
 dal romano valor fu debellato
 ma non fu vinto; se alle sue congiunte
 fian l’armi nostre, la vittoria è certa.
90Ma qual gente improvisa
 a noi s’appressa? Io vedo
 nell’insegne ondeggiar l’aquila invitta.
 
 SCENA IV
 
 POMPEO, AQUILIO con l’esercito romano e detti
 
 POMPEO
 Amazone real dell’Oriente.
 BERENICE
 Debellator de più feroci imperi.
 POMPEO
95Berenice.
 BERENICE
                     Pompeo.
 POMPEO
                                        Roma t’accoglie.
 con le mie braccia.
 BERENICE
                                     E con le mie riceve
 l’Asia gli amplessi tuoi.
 POMPEO
                                             Contro i ribelli
 della gloria romana
 combatteremo uniti.
 BERENICE
100Mora Farnace. Altro da te non bramo.
 POMPEO
 Mora Farnace. Ad assalir le mura
 ov’ei s’asconde io moverò le squadre
 de’ più scelti guerrieri,
 tu l’assalto feroce
105d’altra parte asseconda e vendicata
 a momenti sarai.
 BERENICE
                                  Sì, col tuo esempio,
 o renderò maggior la mia vendetta
 o nell’opre ammirande
 lascierai l’ombra almen d’un nome grande.
 
 SCENA V
 
 AQUILO con SELINDA dalla parte della città e detti
 
 SELINDA
110Signor, s’anche fra l’armi
 pietade ha luogo e cortesia non toglie
 punto di lena a marziali incendi,
 me donzella non vile
 dal militare ardir salva e difendi.
 AQUILIO
115(Quanto è vaga costei!)
 POMPEO
 Sorgi e il grado palesa.
 SELINDA
                                            Io son Selinda.
 BERENICE
 Selinda di Farnace
 la superba germana?
 POMPEO
 Avrai nel nostro campo,
120bella Selinda, e sicurezza e scampo.
 Aquilio, a te consegno
 l’illustre prigioniera.
 BERENICE
 Ben guardata ella sia
 finché di Roma il fulmine fatale
125sul fratel contumace oggi sen cada.
 POMPEO
 Su le nemiche mura
 la vittoria ci chiama. Andianne omai.
 BERENICE
 (Vendicato, mio core, alfin sarai). (Parte)
 POMPEO
 
    Così avvezze alla vittoria
130sono l’aquile romane
 che per loro è scarsa gloria
 vincer sempre e trionfar.
 
    La pietade è il più bel vanto
 per cui Roma va fastosa
135ed appagasi soltanto
 gli altrui torti a vendicar.
 
 SCENA VI
 
 SELINDA, AQUILIO, alcuni soldati
 
 SELINDA
 A’ nostri danni armata
 venne ancor Berenice?
 E congiurò con le romane squadre
140contro l’unica figlia ancor la madre.
 AQUILIO
 Non ha riguardi, o bella,
 la ragion dello sdegno; e a questa cede
 ogni ragion del sangue e dell’amore.
 SELINDA
 E tu per lei pugnasti.
 AQUILIO
145Pugnai per Berenice
 pria di veder Selinda.
 Splende nel tuo bel viso
 la più serena idea che mai scendesse
 dall’alte sfere ad illustrar la terra.
 SELINDA
150Duce, me non alletta
 aura di vana lode.
 AQUILIO
 Amor favella.
 SELINDA
                            Amore
 in un eroe romano?
 AQUILIO
 Che? Non amano forse anche gl’eroi?
 SELINDA
155Sì, ma non sono eroi se sono amanti.
 Vanne; non è possibile che mai
 Aquilio il maggior duce
 dell’invitto Pompeo
 vaneggi adorator del mio sembiante.
160Sei guerriero nell’Asia e non amante.
 AQUILIO
 Se guerriero son io,
 come tale m’accogli e mi concedi
 generosa l’onor di tuo campione.
 SELINDA
 Senti; libera io nacqui e nelle vene
165ho un sangue che più volte
 fe’ vacillar in fronte
 alla tua Roma i combattuti allori.
 Questo sangue mal soffre
 l’onte della fortuna,
170qualche cosa tu ardisci
 degna di te, degna di me. Riffletti
 su le mie voci e su le mie vicende
 e se sprone bisogna al tuo valore,
 sappi che questo core
175da’ sereni occhi tuoi non si difende.
 AQUILIO
 Ma se tu non palesi il tuo desio...
 SELINDA
 Vanne e pensaci bene. Aquilio, addio.
 AQUILIO
 
    Begl’occhi io penserò
 ma che rissolverò?
180Se già ho rissolto, sì
 di sempre amarvi.
 
    Voi siete il pensier mio,
 ad altro non poss’io
 pensar che a vagheggiarvi.
 
 SCENA VII
 
 SELINDA con alcuni soldati
 
 SELINDA
185Qual sembianza improvisa
 in Aquilio abbagliò le mie pupille?
 Ah se mai fosse amore! Eh, no, Selinda
 servi, servi al tuo grado. A lui concedi
 con le lusinghe libertà d’amarti.
190Nasceran dall’amor le gelosie
 e dalle gelosie l’ire e gli sdegni.
 Così forte armerai
 Roma contro di Roma e Berenice
 contro di Berenice e così forse
195degl’occhi miei con la fatal saetta
 io medesma farò la mia vendetta.
 
    Al vezzeggiar d’un volto,
 al balenar d’un ciglio
 giunge la piaga al cor
200che non temea d’amor
 fatal il dardo.
 
    E nella rete colto
 resta così il valor
 dal lusinghiero ardor
205d’un dolce sguardo.
 
 SCENA VIII
 
 Luogo de mausolei, in mezzo de’ quali v’è gran piramide destinata per sepolcro dei re di Ponto.
 
 TAMIRI col suo picciolo figlio condotto a mano da un servo
 
 TAMIRI
 Figlio, non v’è più scampo.
 L’empia Roma trionfa e a noi de’ numi
 nessun più resta o restano i men forti.
 Morir si dee; l’ora fatal è giunta.
210Or che farò? S’adempia
 di Farnace il comando
 ma non s’adempia in questo
 delle viscere mie parto innocente.
 E poiché non rimane
215d’un impero sì nobile e di tante
 città superbe un breve
 spazio di terra, ove un bambin s’asconda,
 disserra, o fido servo,
 questo sacro e feral tempio dell’ombre.
220Ivi il figlio si celi. (Prende per mano il figlio e ’l servo va ad aprir la piramide)
 O figlio, o troppo tardi
 nato all’afflitta patria e troppo presto
 alla madre infelice.
 Io ti dono una vita
225che il genitor condanna
 ma ti riserbo al rischio
 d’una servil catena. Abbila in grado
 s’ella è pietà, s’è crudeltà, perdona.
 Andianne, o figlio. (S’incamina ma ripugnando il fanciullo torna adietro) Ah tu ritiri il passo
230e prendi a sdegno il vergognoso asilo.
 Cedi alla tua fortuna,
 diletto mio, cedi al destino e vivi.
 Tempo forse verrà che tu ripigli
 l’indole generosa e che ritolga
235alla lupa tiranna
 l’usurpato dominio. Oggi ti basti
 d’ingannar la tua morte. Intanto, o caro,
 questo bacio ricevi
 del mio povero amor ultimo dono.
240L’alma sen viene in esso
 tutta sul labbro ed a seguirti impara.
 Vanne, fra pochi istanti
 anch’io verrò. Mi chiuderà l’istessa
 tomba ch’ora ti chiude.
245Ti starò sempre al fianco,
 veglierò su’ tuoi casi, ombra gelosa.
 Vanne, idol mio; colà ti cela e posa. (Entra il fanciullo nella piramide e il servo chiude la porta)
 Ma di madre abbastanza
 si è serbato il costume.
250Torniamo a ripigliar quel di consorte. (Cava lo stile datole da Farnace)
 Fiero ordigno di morte
 delle miserie mie rimedio estremo
 aprimi il petto e col mio sangue scrivi
 che da regina io vissi e da regina
255libera e coronata
 seppi ancora morir. (Mentre vuol uccidersi vien arrestata improvisamente da Berenice)
 
 SCENA IX
 
 Berenice con guardie e detti
 
 BERENICE
                                        Fermati ingrata. (Togliendole lo stile)
 TAMIRI
 Qual ingiustà pietà?
 BERENICE
                                        Qual folle ardire.
 TAMIRI
 Usurparmi una morte
 che i miei disastri onora?
 BERENICE
260Arbitrar d’una vita
 di cui Roma è signora?
 TAMIRI
 Ma tu di Roma amica,
 dimmi se giungi a me madre o nemica.
 BERENICE
 Figlia di Berenice
265in me la madre or vedi
 ma sposa di Farnace
 vedi in me la nemica e la tiranna.
 TAMIRI
 E in che peccò quell’infelice, amando
 la tua prole in Tamiri
270e l’imagine tua nel mio sembiante?
 BERENICE
 In che peccò? Non ti rapì l’indegno
 dalle mie braccia a mio dispetto?
 TAMIRI
                                                               Ed io
 qual oltraggio ti feci
 con ubbidir al mio destin?
 BERENICE
                                                   Dovevi
275alla madre ubbidir pria che al destino.
 TAMIRI
 Ah regina...
 BERENICE
                         Non più. Dove ascondesti
 del mio fiero nemico
 l’odiato germe?
 TAMIRI
                                Oh dio!
 Nella stragge dell’Asia il cerco anch’io.
 BERENICE
280Nel pallor del tuo volto
 la tua frode io ravviso.
 Parla, il figlio dov’è?
 TAMIRI
                                        Dov’è il mio sposo?
 Dove il mio regno? E dove
 con la mia libertà la mia grandezza?
 BERENICE
285Non passeggia il dolor con tanto fasto
 su le grandi sciagure.
 Tu l’occultasti, iniqua;
 ma i tormenti e le fiamme
 ti trarranno dal sen l’alma o l’arcano.
 TAMIRI
290Pensi di spaventarmi? Io sono avvezza
 a sfidar la mia morte.
 Svenami, chi tel vieta?
 Chi ti chiede pietà? Giunta all’estremo
 delle miserie mie, nulla più temo.
 
 SCENA X
 
 POMPEO con seguito e dette
 
 BERENICE
295Signor, costei che audace empie le vene
 del sangue mio ma nel suo core impressa
 ha l’imagine sol del suo Farnace,
 sia pur tua prigioniera.
 D’esserle madre io sdegno
300da che l’empia sdegnò d’essermi figlia.
 Il nome di regina
 cangi in quello di serva e de’ suoi regni
 abbia soltanto appena
 quanto può misurarne una catena.
 TAMIRI
305Signor, miri al tuo piede
 dell’invitto Ariarate
 una figlia infelice,
 odiata così da Berenice
 perché serba nel petto
310pieno di fede e di costanza il core
 come l’ereditò dal genitore.
 POMPEO
 Ben ti risplende in volto
 la chiarezza del sangue e in un dell’alma.
 Nulla io chiedo da te. Sei prigioniera
315della tua genitrice. A lei t’inchina
 ed in lei riconosci
 la vincitrice tua, la tua regina.
 BERENICE
 No, no; resti l’iniqua
 resti pur ne’ tuoi lacci,
320finché riveli dove
 ostinata nasconde il figlio indegno
 ad onta del mio amore e del mio sdegno.
 
    Da quel ferro ch’ha svenato
 il mio sposo sventurato
325imparai la crudeltà.
 
    Nel mirar un figlio esangue
 e bagnato del mio sangue
 mi scordai della pietà.
 
 SCENA XI
 
 TAMIRI e POMPEO
 
 POMPEO
 Donna, la tua fortuna
330è comune al tuo amor. Ceda il tuo amore
 dunque alla tua fortuna e non contenda
 al vincitor della vittoria il frutto,
 in quel tenero tralcio
 d’una pianta rubella
335può germogliar un gran nemico a Roma.
 L’Asia non è ancor doma
 e ben saria cagione
 la mia stolta pietà d’alto periglio.
 TAMIRI
 Roma dunque ci teme? O fortunate
340nostre cadute! Vive,
 sì, vive il pargoletto
 tanto da voi temuto, eroi latini.
 Vive ma custodito
 dai voti della patria e dalle mie
345diligenze amorose;
 in esso io celo a Roma
 la più nobile spoglia, in esso io tolgo
 il suo maggior trofeo
 al domator dell’Asia, al gran Pompeo.
 
350   Infelice e sventurata
 non son io, se posso ancora
 far tremar chi m’ha oltraggiata,
 se mi posso vendicar.
 
    Vive sì, vive quel figlio
355che t’affanna ed addolora,
 vive e in esso il tuo periglio
 dovrai sempre paventar.
 
 SCENA XII
 
 POMPEO solo
 
 POMPEO
 Come ben fa veder la donna eccelsa
 che l’insolente arbitrio della sorte
360non serba autorità su le grand’alme
 e che un’alta virtude
 benché da lacci involta
 va con libero piè sempre disciolta.
 Vano è però l’ardir, vano è l’orgoglio
365della femmina altera; a suo dispetto
 vedrà che il ciel destina
 l’ultima al regno suo fatal rovina.
 
    Quando il mar fremente e nero
 muove guerra e i legni affonda,
370naufragante passaggiero
 contrastar vorria con l’onda
 ma guidato a fiera morte
 è dall’impeto del mar.
 
    Tal costei, che si compiace
375dell’idea di sembrar forte,
 vedrà alfin che colla sorte
 vano sempre è il contrastar.
 
 Fine dell’atto primo